Disturbo da Gioco D’azzardo, evoluzione del fenomeno e impatto sulla rete familiare: istruzioni per l’uso.
Nel corso del 2022 secondo quanto riportato dal libro Blu dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli (ADM) il gettito totale relativo al gioco d’azzardo è stato di 11,22 miliardi di euro. Una spesa da parte degli italiani e delle italiane pari a 136 miliardi di euro che secondo le stime dell’ADM è previsto abbia raggiunto una raccolta di circa 149 miliardi di euro durante il 2023; il settore Giochi conferma la tendenza in crescita già presente nel 2021. Si registra un incremento di tutte le dimensioni di gioco rispetto all’annualità precedente: +22,3% per la raccolta; +20,91% per le vincite; +31,56% per la spesa; +33,40% per l’Erario.[1]
Una indagine condotta dall’ISS nel 2018 ha rivelato che in Italia oltre un terzo della popolazione, corrispondente al 36,4% (circa 18.450.000 individui), ha ammesso di aver praticato il gioco d’azzardo almeno una volta nei dodici mesi precedenti. Tra questi, l’8,3% (circa 1.500.000 persone) è stato identificato come giocatore problematico.
Un dato ancora più preoccupante riguarda i minori, per i quali il gioco d’azzardo è vietato. Nonostante ciò, il 10,4% degli studenti italiani giocatori tra i 14 e i 17 anni è un giocatore problematico[2].
Tale studio riporta che una persona ogni 39 in Italia soffre di Disturbo da Gioco d’Azzardo[3] con «un comportamento di gioco che genera conseguenze negative per sé stessi, per le persone che li circondano (come la rete sociale) e per la comunità in generale», secondo una delle definizioni date dall’Istituto Superiore di Sanità.
La dipendenza da gioco d’azzardo ha gravi conseguenze sulla famiglia, sia dal punto di vista psichico sia dal punto di vista economico.
Il report fornito nel 1999 dalla Australian Productivity Commission aveva documentato che ogni giocatore d’azzardo problematico colpisce tra i 5 e i 10 ulteriori altri individui afferenti alla propria cerchia relazionale.
La letteratura internazionale e gli studi condotti in Italia confermano che un tipico giocatore d’azzardo problematico coinvolge altre sei persone della sua rete parentale e amicale, causando ad esse danni di rilievo socio-sanitario, oltre che finanziari-materiali.[4]
A subire quindi gli effetti del DGA non sono solo coloro che mettono in pratica attivamente le azioni di gioco, ma anche la maggior parte delle persone appartenenti alla famiglia ristretta (genitori, figli, coniugi, fratelli…) oltreché amici e colleghi che vengono identificati come giocatori passivi.
Non solo chi abusa del gioco manifesta disagi e sviluppa disturbi organici e psicologici, ma l’intero gruppo familiare può manifestare disagio e sviluppare un disturbo organico e psicologico solo per il fatto che un membro della famiglia è dipendente dal gioco.
Considerando un nucleo familiare ristretto composto da quattro individui, possiamo pensare che almeno 15.2 milioni di persone nel nostro Paese si trovino in una situazione di grave disagio a causa di tale problematica.
Alcuni giocatori d’azzardo si indebitano pur di continuare a giocare, rincorrendo la vincita e affidandosi a ragionamenti distorti da specifici bias cognitivi[5], o per restituire denaro reperito in contesti legali o illegali. Per queste e altre ragioni il patrimonio e i possedimenti dì una famiglia vengono, quindi, velocemente dissipati dal comportamento disfunzionale del giocatore.
Vivere con una persona che soffre di DGA non è facile, può essere una situazione fortemente ansiogena, si vive nella diffidenza, nell’incertezza e nel sospetto; si sperimentano sentimenti di rabbia e di frustrazione. Stretti da un forte senso di vergogna ci si rifiuta di comunicare il problema ai familiari o amici isolandosi sempre di più fino a sperimentare sentimenti di ansia e depressione[6].
All’inizio il giocatore cercherà di non farsi scoprire, poi, una volta uscito allo scoperto, tenderà a mentire per convincere le persone intorno a lui che riuscirà da solo a risolvere questo problema. In realtà, è molto più probabile che avvii una “carriera”[7] che lo porti a sprofondare progressivamente senza riuscire autonomamente ad affrontare la dipendenza.
Benché anti intuitivo è opportuno che i familiari non cedano alle false promesse e alle manipolazioni messe in atto per ottenere denaro, dal momento che quel denaro verrà verosimilmente utilizzato per giocare. Spesso le famiglie, nel tentativo di aiutare il giocatore a risolvere il proprio problema, attuano comportamenti disfunzionali che non producono nessun esito positivo, anzi, il più delle volte acuiscono il sintomo, portando alla rottura dei legami affettivi.
Le modalità adottate per far fronte al problema dell’azzardo sono da valutare con cura per impedire che concorrano a determinare ciò che si desidererebbe evitare; i familiari tendono ad utilizzare strategie di gestione del problema particolarmente difficoltose e non sempre funzionali. Queste modalità comportano il tentativo di diminuire o interrompere l’esagerata condotta di gioco del proprio familiare ricorrendo a strategie emotive improvvisate o di eccessivo controllo, ad esempio minacciando o dando ultimatum. I familiari controllano i movimenti dei giocatori, li pedinano per accertarsi che siano dove hanno dichiarato di recarsi: in queste azioni vi è tutto il dolore, la paura, il senso d’impotenza e la rabbia causati dai comportamenti messi in atto della persona dipendente.
Queste strategie alimentano litigi e conflittualità e non sembrano essere particolarmente utili e protettive nel fronteggiare il problema della dipendenza.
Cosa fare e cosa non fare
Uno degli approcci al fenomeno che prova ad approfondire il ruolo della famiglia nei processi di funzionamento del giocatore è stato descritto da Coletti (2017), che considera la famiglia da un lato come “vittima”, dall’altra come “concausa” del problema. Nel primo caso si attueranno attività volte principalmente a sostenere i membri per aiutarli a comprendere quanto sta accadendo; nel secondo, invece, gli interventi saranno mirati a modificare l’organizzazione dello stesso sistema familiare.
Aiutare un giocatore d’azzardo comporta la necessità di conoscere il più possibile il fenomeno del gioco d’azzardo problematico e lavorare sul cambiamento del sistema familiare anziché aspettarsi il cambiamento del singolo membro della famiglia.
Il gioco d’azzardo patologico, classificato nel DSM-5 come Disturbo da Gioco d’Azzardo, è definito come un comportamento di gioco persistente e ricorrente che porta a significative difficoltà o disagi. Caratterizzato da una compulsione al gioco nonostante le conseguenze negative, questo disturbo comporta un’intensa necessità di scommettere somme sempre maggiori, una difficoltà a smettere o ridurre il gioco, e una continua preoccupazione per il gioco d’azzardo. Le persone affette possono mentire per nascondere l’entità del loro comportamento di gioco e possono sperimentare sintomi di astinenza quando tentano di fermarsi. Per fronteggiare tale disturbo è fondamentale imparare ad individuare i segnali di allarme, le conseguenze negative e le possibilità di aiuto; riconoscere che si tratta di un problema di dipendenza e non di un semplice “vizio” che si può fronteggiare da soli può essere il primo passo verso la guarigione.
La ricerca ha mostrato i numerosi effetti negativi derivanti dal vivere con un giocatore d’azzardo patologico: problemi finanziari e legali, elevati livelli di angoscia, ansia, vergogna, sensi di colpa e imbarazzo; sperimentazione di emozioni spiacevoli quali sentimenti di perdita, tradimento, confusione, frustrazione, paura e rabbia[8].
Il gioco d’azzardo patologico indica che qualcosa all’interno delle relazioni familiari non funziona; pur vivendo il problema la famiglia giunge, col tempo, a riorganizzarsi intorno ad esso: sostituire il giocatore nei compiti e nelle responsabilità quotidiane può sembrare una soluzione facile per riprendere il controllo della situazione che si sente “sfuggire di mano”, in realtà tale comportamento alimenta sentimenti di rancore e rabbia.
Da qui la necessità di coinvolgere i familiari attivamente nel percorso di cambiamento aiutandoli a imparare a gestire le situazioni quotidiane con maggior efficacia, supportando le strategie di coping e insegnando le corrette modalità con cui relazionarsi con il giocatore proponendo corrette abilità comunicative.
Quando ci si confronta con la persona problematica, è necessario attuare comportamenti tesi al cambiamento relazionale e mostrare disponibilità chiarendo come la situazione sia difficoltosa e stia condizionando negativamente i rapporti all’interno della famiglia. Un approccio di tale tipo porta ad una riduzione delle interazioni basate sull’emotività e ad una maggiore assertività; controbattere, accusare o entrare in conflitto con il giocatore d’azzardo per contro è un comportamento che mette le persone sulla difensiva rendendole meno inclini ad ammettere di avere un problema e a chiedere aiuto.
La maggior parte dei giocatori arreca scuse per giustificare il proprio gioco, le conseguenti perdite e i problemi che ne derivano; il pensiero del giocatore patologico è caratterizzato da un’incapacità riflessiva e logica che lo porta ad alterazioni cognitive.[9]. In tali circostanze un atteggiamento accusatorio che esprime sentimenti negativi risulta controproducente: il giocatore è una persona che ha rischiato e sente di aver perso nella vita, è importante rispettarlo partendo dalla fatica e dal dolore in cui la sua esperienza lo ha costretto[10]
La fruizione di programmi specificamente indirizzati ai familiari produce sensibili cambiamenti. Si tratta di cambiamenti cognitivi attraverso l’aumentata consapevolezza circa il problema del gioco patologico del congiunto e gli effetti che quest’ultimo ha sugli altri. Tali interventi mirati generanoun’aumentata capacità di concentrazione sulla propria vita e sui propri bisogni: dire “no” alle richieste del giocatore è importante in quanto spinge la persona ad affrontare il problema e, al contempo, aiuta i familiari a crearsi uno spazio protettivo che salvaguardi i propri interessi e le proprie attività evitando di essere manipolati.
“Cambiamento” è la parola chiave
Assecondare il giocatore cercando di nascondere le preoccupazioni ad amici e parenti, non aiuterà a risolvere il problema, ma solo a continuare a mantenerlo.Spesso è la stessa famiglia che inconsapevolmente rinforza la patologia del giocatore e lo protegge impedendogli di assumersi le proprie responsabilità: il giocatore resta immaturo, irresponsabile e incapace di riorganizzare il proprio sistema motivazionale.
Per i familiari aiutare non deve significare “impedire alla persona di giocare”, ma promuovere atteggiamenti che inducano il giocatore a prendere coscienza del potere esercitato dal gioco sul proprio comportamento, sul proprio benessere psicologico.
Il cambiamento è un processo lungo e difficile che richiede tempo, sforzi e spesso diversi tentativi per avere successo, non esiste una ripresa immediata. Superare un problema di gioco richiede un grande impegno da parte di tutti coloro che sono interessati, mettendo in preventivo anche le possibili ricadute.
Nella quasi totalità dei casi, il cambiamento necessita dell’aiuto e del sostegno di professionisti.
Cambiare i propri modelli interattivi implicherà indurre un cambiamento in tutti i componenti della famiglia. Se questo potrebbe inizialmente portare, paradossalmente, ad un peggioramento dell’intensità e della frequenza di gioco, concorrerà a produrre sul lungo periodo un nuovo assetto familiare.
Il comportamento dei familiari è fondamentale per aiutare la persona a prendere coscienza della propria malattia e nel motivarla a modificare la propria condotta nella direzione di una risoluzione della dipendenza da gioco d’azzardo.
Bibliografia
Agenzia delle Dogane e dei Monopoli (2022) Libro Blu – Organizzazione statistiche e attività
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Capitanucci D., Carlevaro T. (2004). Guida ragionata agli strumenti diagnostici e terapeutici nella dipendenza da gioco d’azzardo. – cd-rom – Hans Dubois Ed. – Bellinzona (CH)
Casciani O., De Luca O. (2018). Il trattamento psicologico e psicoterapeutico del Disturbo da Gioco d’Azzardo in una prospettiva multidisciplinare. – Ed. Publiedit. Cuneo
Coriale G., Ceccanti M., De Filippis S., FalletaCaravasso C., De Persis S. (2015) Disturbo da gioco d’azzardo: epidemiologia, diagnosi, modelli interpretativi e trattamento. – In Rivista di Psichiatria. – Settembre-Ottobre 2015
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Vico G. (2011). Non mi diverto più! Il gioco d’azzardo patologico. In Rivista di Criminologia, Vittimologia e Sicurezza – Vol. V – N. 1 – Gennaio-Aprile 2011
[1] Ministero dell’Economia e delle finanze, Libro blu – Organizzazione statistiche e attività – Anno 2022
[2]Istituto Superiore Sanità, 2018
[3]American Psychiatric Association, Manuale Diagnostico e Statistico delle Malattie Mentali (DSM V)
[4]ISS, “Gioco d’Azzardo in Italia: ricerca, formazione informazione, a cura di R. Pacifici, L.Mastrobattista, 2024
[5]Ladoucer & Walker, 1996; Thompson & al., 1998
[6]Bellio G., Croce M, a cura di, (2014). Manuale sul gioco d’Azzardo. Diagnosi, valutazione e trattamenti – Franco Angeli – Milano.
[7]Custer, 1984
[8] Grant Kalischuk, Nowatzki, Cardwell, Klein &Solowoniuk, 2010
[9] Vico G., 2011
[10]Maiorino A., 2019